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Ripensare il legame tra l'Alzheimer e l'invecchiamento: nuove prospettive dalla ricerca neuroscientifica

L'Alzheimer è una malattia devastante, che ha toccato milioni di vite in tutto il mondo. Nonostante decenni di studi scientifici, una cura definitiva non è ancora stata trovata. Ciò è in gran parte dovuto al fatto che non comprendiamo appieno il più grande fattore di rischio della malattia: l'invecchiamento. L'invecchiamento è inevitabile per tutti, ma il declino cognitivo non lo è. In questo contesto, diventa fondamentale esplorare i meccanismi biologici che determinano perché alcune persone invecchiano mantenendo una piena funzione cognitiva, mentre altre sviluppano malattie neurodegenerative come l'Alzheimer.

La relazione tra invecchiamento e declino cognitivo

Uno dei punti centrali della ricerca attuale è capire quali siano le differenze biologiche che separano chi invecchia senza subire un declino cognitivo significativo e chi invece sviluppa condizioni come l'Alzheimer. La neuroscienziata Courtney Glavis-Bloom e i suoi colleghi del Salk Institute stanno adottando un approccio innovativo: studiare l'invecchiamento non come un evento singolo, ma come un processo dinamico che si svolge lungo tutta la vita. Questo metodo permette di comprendere non solo i cambiamenti biologici che si verificano con l'invecchiamento, ma anche come questi cambiamenti siano interconnessi e in quale sequenza si manifestino.
Per accelerare la ricerca e ottenere risultati utili in tempi più brevi, Glavis-Bloom e il suo team stanno studiando il ciclo di vita dei marmoset, una specie di scimmia che vive solo 10-12 anni. Questo permette ai ricercatori di osservare l'intero processo di invecchiamento in un lasso di tempo relativamente breve, ma con risultati rilevanti anche per l'uomo, dato che i marmoset condividono molte somiglianze con il cervello umano.

Il ruolo dell'energia nel cervello

Uno dei maggiori indizi che i ricercatori hanno scoperto riguarda l'energia che il cervello utilizza. Il cervello umano, pur rappresentando solo il 2% del peso corporeo, consuma ben il 20% dell'energia totale del corpo. La maggior parte di questa energia viene impiegata per permettere ai neuroni di comunicare tra loro attraverso le sinapsi, piccoli spazi attraverso cui passa l'informazione. Più grandi sono le sinapsi, maggiore è la quantità di informazioni che possono trasmettere, ma ciò richiede anche più energia. Questa energia è prodotta dai mitocondri, minuscole "centrali energetiche" presenti all'interno delle cellule.
Nei soggetti con resilienza cognitiva — coloro che invecchiano senza subire un declino cognitivo — i mitocondri sono della dimensione giusta per fornire l'energia necessaria alle sinapsi. In altre parole, c'è un equilibrio perfetto tra la domanda di energia delle sinapsi e l'offerta dei mitocondri. Nei soggetti che invece soffrono di declino cognitivo, questo equilibrio viene a mancare, causando un'interruzione della comunicazione tra i neuroni e, di conseguenza, problemi cognitivi.

Nuove direzioni di ricerca

La scoperta del legame tra mitocondri e sinapsi ha aperto una strada completamente nuova nella comprensione del declino cognitivo legato all'invecchiamento. Questo approccio non mira a studiare direttamente l'Alzheimer, ma a comprendere meglio il processo dell'invecchiamento stesso, con l'obiettivo finale di sviluppare trattamenti efficaci per malattie come l'Alzheimer.
Inoltre, il team sta ampliando la ricerca analizzando non solo il cervello, ma anche altri indicatori biologici, come il sangue e i campioni fecali dei marmoset, per cercare di comprendere ulteriormente i cambiamenti legati all'invecchiamento e come questi influenzino il cervello. Questi studi potrebbero fornire nuove intuizioni su come mantenere la resilienza cognitiva anche in età avanzata.

Un futuro di resilienza cognitiva

La visione di Glavis-Bloom è un futuro in cui la resilienza cognitiva sarà tanto inevitabile quanto l'invecchiamento stesso. Comprendere come invecchiare in modo sano e senza declino cognitivo è il primo passo verso lo sviluppo di trattamenti più efficaci per le malattie neurodegenerative. Anche se siamo ancora lontani da una cura per l'Alzheimer, l'approccio innovativo adottato dai ricercatori rappresenta una speranza concreta per migliorare la qualità della vita delle persone che invecchiano.
In conclusione, ripensare il legame tra Alzheimer e invecchiamento ci permette di affrontare una delle sfide più grandi del nostro tempo con una nuova prospettiva. La chiave per combattere malattie come l'Alzheimer potrebbe non risiedere solo nella ricerca di una cura, ma nella comprensione profonda del processo di invecchiamento e di come mantenere il cervello in salute anche con il passare degli anni.

Di Gaetano

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