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Choroideremia: Ruolo dell'Autofluorescenza e Terapie Geniche

La choroideremia è una distrofia retinica ereditaria che porta alla perdita progressiva della vista, prevalentemente nei maschi, con manifestazioni cliniche che includono la cecità notturna, la perdita della visione periferica e, infine, una grave compromissione della vista. La causa principale è la mutazione del gene CHM, situato sul cromosoma Xq21.2, che comporta una carenza della proteina Rab-escort 1 (REP1), essenziale per il traffico intracellulare delle vescicole, tra cui quelle che trasportano la melanina. Questa malattia colpisce in primis l'epitelio pigmentato retinico (RPE), con conseguente degenerazione della coroide e morte dei fotorecettori.

Manifestazioni Cliniche e Diagnosi

I sintomi della choroideremia iniziano solitamente con problemi di visione notturna (nyctalopia) durante l'infanzia, seguiti da una progressiva riduzione del campo visivo e, in ultima fase, dalla perdita dell'acuità visiva. La degenerazione segue un pattern centripeto, partendo dalle periferie della retina e progredendo verso il centro, spesso lasciando un'area centrale preservata fino agli stadi avanzati della malattia. Nelle prime fasi, l'esame del fundus mostra accumuli di pigmento nella periferia, mentre negli stadi finali si osserva l'esposizione della sclera dovuta all'atrofia totale del RPE e della coroide.

Autofluorescenza e Imaging Retinico

L'autofluorescenza del fundus (è una tecnica di imaging che utilizza la proprietà fluorescente dei pigmenti nella retina per valutare lo stato di salute dell'RPE) è ampiamente utilizzata per monitorare i pazienti affetti da choroideremia. Questo metodo sfrutta la fluorescenza di pigmenti come il lipofuscina, che si accumula nell'RPE come risultato del ciclo visivo. L'autofluorescenza a luce blu a corta lunghezza d'onda (BAF) consente una mappatura topografica della distribuzione dei fluorofori di lipofuscina nell'RPE, offrendo un'indicazione sulla salute della retina.
Un'altra modalità di imaging utilizzata è l'autofluorescenza nel vicino infrarosso (NIR-AF), che visualizza la distribuzione della melanina, un fluoroforo presente principalmente nell'RPE e nella coroide. La melanina ha un ruolo protettivo contro il danno ossidativo e la luce, e la sua riduzione nell'RPE è stata osservata in correlazione con l'età e il progredire della malattia.

Pattern Retinici in Choroideremia

L'analisi dell'autofluorescenza ha rivelato pattern distinti di degenerazione retinica nei pazienti con choroideremia:

  1. Zone lisce con aspetto omogeneo e normale, che indicano una salute relativa dell'RPE e dei fotorecettori.

  2. Zone marezzate con aspetto granulare e miste di iper e ipo-autofluorescenza, che suggeriscono una disfunzione dell'RPE.

  3. Zone atrofiche con perdita totale di autofluorescenza, indicative di degenerazione avanzata dell'RPE e dei fotorecettori.

Questi pattern sono stati trovati in correlazione con la salute della zona ellissoide nei risultati della tomografia a coerenza ottica (OCT). Le aree lisce presentano un'ellissoide intatta, mentre le zone marezzate mostrano una ellissoide per lo più disgregata. Inoltre, le zone lisce hanno dimostrato di mantenere una sensibilità retinica quasi normale, come misurato dalla microperimetria.

Prospettive Terapeutiche: Terapia Genica

Attualmente, non esiste un trattamento approvato per la choroideremia, ma sono in corso studi su terapie geniche. La più studiata è la terapia di sostituzione genica, in cui un vettore virale AAV2 codificante per la REP1 viene iniettato sotto la retina per trasdurre le cellule RPE e fotorecettoriali sopravvissute. I primi dati clinici hanno mostrato un profilo di sicurezza favorevole e risultati incoraggianti. Tuttavia, i risultati dei trial clinici di fase III non hanno mostrato miglioramenti significativi dell'acuità visiva rispetto agli occhi non trattati. Questo suggerisce che la terapia potrebbe essere più efficace negli stadi precoci della malattia, quando la retina ha ancora una struttura relativamente preservata.
Oltre alla terapia di sostituzione genica, sono in fase di studio anche terapie molecolari alternative, sia in vitro che in vivo. L'obiettivo è quello di preservare la funzione visiva rallentando la progressione della malattia piuttosto che ripristinare l'acuità visiva già perduta.

Conclusioni

Le emergenti tecniche di imaging multimodale, tra cui l'autofluorescenza a luce blu e quella nel vicino infrarosso, stanno offrendo nuovi strumenti per la valutazione della progressione della choroideremia e la caratterizzazione della sua storia naturale. Questi strumenti possono essere di valore per identificare le zone della retina ancora relativamente sane, che potrebbero beneficiare maggiormente dalle nuove terapie geniche. In particolare, l'uso combinato di BAF e NIR-AF può migliorare la valutazione clinica e monitorare l'efficacia delle terapie, fornendo informazioni cruciali sulle aree di preservazione del RPE e sulla progressione del danno retinico.

Di Gaetano

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